Clandestinità
(Un racconto di Pippi Campa, dedicato ai compagni di Corso)
Sulla sabbia della notte
“… Sembra non aver capito nulla!…”, si disse lei fra le lagrime.
Il mare le era dinanzi, immerso nel silenzio. Dopo il frastuono della discoteca
quel silenzio era incredibile. Era già notte inoltrata. Aveva necessità di
respirare, di unirsi al respiro della natura, di riappropriarsi della coscienza
del tempo. Era stordita dall’alcool, dal dolore, dal rumore, dall’irrespirabile,
dalla ferrea stretta che l’aveva schiacciata sulla sabbia. Lui era lì, steso sul
fianco, appena più in là, immobile, angoloso, esausto.
“ …Io rido della mia miseria…” - lei si disse ancora –“ …io rido del terrore
della realtà…questo sangue che cola….oh! Ritornare nella mia terra! Ritornare
ancora … Poter fuggire….ma sono già fuggita!….Debbo ancora fuggire?…Ritornare!….questo
rimorso opprimente, irresistibile…Ho giurato di non ritornare mai più, mai più….
Ritornare! spezzare il giuramento…questa luna malata….”.
“…. Vieni qui...” disse lui, cercando goffamente di toccarla e sprofondando con
lo sguardo nella profonda e scura bellezza di lei; aveva voglia di ricadere nel
vortice delle sue sinuosità. L’aveva incontrata ieri, tornando a Rimini. Gli era
sembrata forte, giovane, nera, bellissima e clandestina. L’aveva accolta, con
leggerezza scanzonata, con la stessa umanità con la quale si raccoglie qualcosa
da terra.
Gli occhi di lei penetravano il buio. “…il mio deserto sconfinato….i bidoni
arrugginiti sulle piste….le carcasse di cammelli, bianche, come le chiglie
abbandonate sulla riva dove s’infrangono i flutti dell’oceano …le tempeste di
sabbia… vivere fra orrori e incertezze….nascere e sperare di morire presto…la
pianura, acciottolata, rossa, infuocata…”.
Gli occhi neri, sbarrati nella notte, fissavano lui che ripeteva “ ..Vieni
qui..”
“…Penosamente e affannosamente ho cercato una rinascita…- rispondeva il pensiero
di lei –… poi il mare…la stiva buia…un approdo sconosciuto…una nuova terra….Per
lunghe notti nell’oasi ho letto nei suoi occhi la felicità e l’infelicità e nel
suo caldo corpo il bene e il male…non gli ho concesso nulla…l’ho solo colmato di
sguardi…e qui, sotto questi ridicoli alberelli, è svanita la luce!…Lagrime,
unitevi a questo sangue che cola!…a questa pietra di dolore….a questo sinistro
privilegio che oscura il mio sole e annulla il sibilo incantato del serpente
nella fresca oasi,…bagnate il mio mare notturno e il mio beffardo universo…Ho
spento la sacra memoria con l’impurità!…Oasi solitaria e trionfante, bellezza
gravida di bellezza…e tu, torre screziata dal sole, che emergi dalle palme!…”.
E mentre, infrante le barriere fra la vita e l’abbandono, lei era sul punto di
spezzarsi, al limite estremo venne risospinta nell’esistere. “ …Chiamo l’anima
al dominio di me stessa..” – si disse – “…e rido della mia miseria!..” e si
allontanò, alta come una regina.
Pippi Campa
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Foto di Alfredo Castiglioni