Dal II° plotone, 3^ Compagnia... |
Già,
il tirocinio iniziato a Sassuolo, com' è stato? Per quattordici giorni
un'attività intensa e frenetica tra ordini, richiami,rimproveri,
appelli, adunate, marce, corse, nozioni di ogni genere, " un manicomio "
a detta di alcuni. L'allievo Roberto Pepe così lo ricorda:" La nebbia ci
accolse di colpo a Sassuolo / Armati di Garand, stremati all' albore /
Le corse infinite sul gelido suolo / Mettevan a prova il nostro valore :
/ Attenti, riposo, al tempo marciare! / Pulire gli anfibi, in piedi
scattare!..."
Appena scesi dal pullman, siamo presi in consegna da un tipo smilzo,
agile nei movimenti, capelli cortissimi, occhiali piccoli e poco
visibili, con un tic nervoso al labbro superiore. E' il tenente dei
bersaglieri Sabino Franzolini che ci inquadra per tre e ci fa marciare
avanti e indietro nel cortile del Palazzo e vociando per mantenerci al
passo: "juppi, juppi ", o cose del genere. Visto il deludente risultato,
desiste e dopo averci detto: " Imparerete presto perché siete della
terza compagnia ", ci lascia con l'avvertenza di aspettare l' istruttore
Zucchi. " Bah... incominciamo bene, siamo della terza compagnia... e che
significa? ", borbotta qualcuno del gruppo.
Liberi, per il momento, ne approfittiamo per guardarci intorno. Al
centro del cortile, ricoperto di ciottoli, c'è una grande vasca di
marmo. E' colma d'acqua, ninfee bianche galleggiano in superficie, al
centro alti zampilli fuoriescono da una coppia di statue e da bocche di
pesci. Improvviso ci desta un forte richiamo: " Aspiranti allievi! ".
Attoniti ci voltiamo. " Sono l'istruttore Alberto Zucchi, un vostro
anziano, cioè del secondo anno, che ha il compito di insegnarvi le prime
cose che dovete sapere della vita militare e di istruirvi nell'
addestramento formale. Per adesso seguitemi, vi porto in sala vestizione
per l'assegnazione dell' uniforme di servizio e dei primi capi di
corredo".
Riempito alla
rinfusa un grosso zaino con calzature e vestiario vario, saliamo le
scale ed entriamo nelle camerate. C'è poca luce, lo spazio è ristretto.
Ci sono tante brande a castello che hanno un telo allentato, unito a due
longaroni con ganci ed anelli. Un pagliericcio di uno strano colore è
piegato a metà; sopra, ruvide lenzuola e un paio di coperte. Tutto
attorno si sente un forte odore di naftalina. E questo sarebbe il mio
posto letto? Che delusione!
Sistemiamo gli
effetti personali nell' apposito armadietto, curandone l' ordine e la
piegatura. L' istruttore, non soddisfatto, ci fa più volte ripiegare e
riordinare la biancheria in modo uniforme. Terminata l'operazione, ci
riuniamo in un' aula, seduti ( finalmente ) su sgabelli e rimaniamo in
attesa del comandante del secondo plotone, di cui facciamo parte.
"
Sono il tenente di artiglieria
"
Tutti in refettorio per il pranzo !" dove arriviamo di corsa con Zucchi
in testa talché quando ci sediamo a tavola siamo tutti sudati. " E le
mani dove me le lavo? " chiede uno di noi. " Domani, domani te le lavi!
"(sic ), risponde pronto Zucchi. Vabbè, mangiamo, che fame! Per fortuna
il cibo è buono e soprattutto abbondante. Conservo una foto di quei
momenti: sono seduto a tavola insieme a Zalla Domenico, Mini Fabio,
Perrone Silvio, Pagnini Mario, Marzano Marino. A capotavola
l'onnipresente Zucchi sovrintende all' osservanza delle buone maniere:
coltello impugnato come una penna, presa del cucchiaio con due dita,
busto eretto, gomiti non appoggiati e, dulcis in fundo, la frutta deve
essere sbucciata con forchetta e coltello. Alcuni, dopo i primi
tentativi, ci rinunciano e la frutta rimane nei vassoi.
Al ritorno in
camerata ci scambiamo le prime impressioni, non del tutto positive, anzi
qualcuno manifesta una certa disillusione. A gruppi si chiacchiera, si
scherza, ci si conosce. Approfittiamo del tempo libero, assai poco in
verità, per guardare allo specchio l' effetto che ci fa la divisa, ci
mettiamo in posa, proviamo e riproviamo la bustina sul capo,
ridacchiamo. Qualcuno con ago e filo ( faceva parte della dotazione
individuale ) rinforza i bottoni del giubbino, qualcun altro lustra gli
scarponcini, altri scrivono a casa. Non ricordo se ci fossero dei
telefoni, forse in qualche parte del palazzo ce n' era uno.
Arriva il momento
del contrappello serale: tutti in posizione eretta davanti alle brande
in attesa della conta da parte dell' anziano di servizio. E poi a letto.
Sono le ventidue, le luci si spengono e nella soffusa penombra delle
poche lampadine azzurrognole risuonano le note del " silenzio ". Il
suono lento e struggente della tromba provoca una stretta al cuore e
rimanda ai ricordi, ad una persona cara e lontana. Lentamente una
lacrima mi scende sul viso, ma sono talmente stanco che mi addormento
quasi subito.
Nella notte si
sentono rumori e respiri cavernosi, smorzati, prolungati,sincopati: sono
quelli del popolo che russa. Si intravedono i movimenti di qualcuno che
con passo felpato, in mano un rotolo completo, cerca di individuare la
porta giusta.
Una
di queste sere, che non riuscivo a prendere sonno per colpa dell'
insalata di cavolfiori, sento un compagno vicino di letto che smaniava.
Stava sognando ad alta voce e come sognava! " Doonne... sono io...
Totuzza sono... Sono tutto vosctro... qua sono!" Uno di noi per farlo
tacere gli affibia una forte cuscinata sul viso e quello, continuando a
sognare: " Miiinchia che bootta... Doonne maale mi fate! " (sic.) Poi
silenzio.
Il seguito alla prossima puntata.
Alle sei del mattino improvvisa e forte ci desta la sveglia. " Tutti giù dalle brande, presto, fare presto! " si sente gridare in tutte le camerate fin giù per le scale. Subito dopo dal cortile l' altoparlante diffonde alcune marcette allora in voga. Ricordo " Colonel Bogie ", così briosa nel motivo fischiato da far marciare perfino gli ESAF e quella tristissima di " Concerto disperato ", colonna sonora del film " Marcia o crepa ". Ce n'era poi una che mi piaceva tanto per la melodia e il testo, il cui inizio faceva:" Non te- mer a- more mio, non te- mer non è un ad- dio, tutti par- ton come me, tutte pian- gon come te..." mentre i bassi accompagnavano con un sommesso sottofondo corale:" taam, taratam... taam, taam, taam..." Si chiamava la " Ballata del soldato", o qualcosa del genere.
E noi con tali sinfonie nelle orecchie saltiamo giù dal letto, a torso nudo corriamo ai lavatoi, ci facciamo la barba con l' acqua fredda, ci infiliamo la maglia umida, in gran fretta ci vestiamo e giù di corsa per le scale all' adunata in cortile, con gli anziani che continuano a gridare" presto, fare presto...", quando già siamo arrivati!
Fatta la conta, ha inizio l' attività del giorno che comprende l' addestramento formale in tutte le sue forme e varianti: da fermo e in movimento, individuale e di reparto, saluto con e senza copricapo, in luogo aperto o chiuso o per le scale, senza le armi e con le armi. Il più impegnativo è l' addestramento con il fucile: attenti,riposo, baionetta, levate, presentat' arm, pied' arm, bilanc' arm, spall' arm. Che casistica! All' inizio ci confondiamo anche perché gli istruttori urlano gli ordini e noi siamo timorosi di sbagliare, se non emotivi come lo scrivente, richiamato dal tenente Leonardi:" Ma Fervaando... coosa... cosa fa... non siamo all' ola... oratorio... si svegli!".
C' è poi la ginnastica che viene svolta nei prati ( un tempo giardini alla francese ) dietro la residenza estiva degli Estensi e che comprende preatletica, capriola, cavallina, corse e per finire esercizi di reparto con il fucile; a questo proposito ricordo la voce stentorea del maresciallo Fruncillo:" Ora eseguiamo movimenti delle braccia con l' arma( del peso di 5 kg ) avanti e ritorno, alto e ritorno, tutti insieme, pronti... via!" Uno strillo prolungato "ahi... ahi..."si sente nelle file davanti. E' l' aspirante Sorrentino Francesco che, nella foga dell' esecuzione, si procura la lussazione della spalla destra. Con misurata flemma interviene il colonnello Barone, direttore della sezione di educazione fisica:" Calma e ancora calma, non è successo niente, non è morto nessuno!" ( sic ). Il nostro compagno è portato in infermeria e ricoverato poi in ospedale.
Un tardo pomeriggio, era già buio, facciamo la conoscenza del nostro comandante di compagnia, il capitano di artiglieria corazzata Giovanni Civita. Un bell' uomo, dalla testa rotonda un pò grossa, da cui il soprannome di" Provolone". Sapeva il fatto suo, alternava i nostri momenti di lavoro, in cui pretendeva il massimo impegno, con quelli di relativo relax, creando situazioni spiritose e divertenti. Ricordo così i suoi interventi in quella riunione serale:" Adesso voglio saggiare la vostra reattività...In piedi i Romani!... Eccolo là, eccolo là...indicando con la mano il ritardatario...allora come si chiama il capo di stato maggiore dell' esercito?...Ah, non lo sa, niente pastasciutta questa sera!...dove sono i ragionieri?... eccoli là( questa volta due )...e lei con quel naso lungo e la bocca aperta, si presenti! ..." " Aspirante Passaghe Giuseppe... no Antonio (sic)." " Eccolo là, manco il nome si ricorda...a Trieste, perché io sono di Trieste, quelli come lei li chiamiamo...in piedi un friulano!". Si alza uno spilungone:" Mona, signor capitano". " Ecco, giusto, proprio così..mona!".
E per finire ci invita ad intonare il ritornello della compagnia. " La intono prima io " e con voce un pò stonata parte in assolo" Noi siam della terza compagnia e di tutti siamo i miglior...uno...due". E dopo, tutti insieme( siamo un centinaio) cantiamo più volte a squarciagola il ritornello e per marcare il tempo battiamo i piedi per terra, facendo un gran baccano. E bravo il nostro capitano! Per un momento ci ha fatto dimenticare la fatica della giornata.
Le lezioni di regolamenti e di armi si effettuano nelle grandi sale che hanno le pareti e le volte decorate di pregevoli dipinti, risalenti al Seicento ed eseguiti da un certo Boulanger. Qui apprendiamo le prime nozioni del regolamento militare e della vita di caserma e studiamo il fucile semiautomatico Garand: caratteristiche, funzionamento, scomposizione e ricomposizione,manutenzione. Su grezzi tavoli smontiamo e rimontiamo più volte il fucile con l' accortezza di disporre in ordine, da sinistra a destra, le parti smontate nel mentre l' istruttore dall' alto della pedana alza i particolari dell' arma declamandone la terminologia: tappo cilindro presa gas, cilindro, copricanna, scatola di scatto, asta, molla..." Attenti a non far partire la molla!". E naturalmente a qualcuno la molla partiva e schizzava in alto sfiorando il naso del vicino. Mi faceva uno strano effetto eseguire la manutenzione dell' arma utilizzando grasso, cliner, olio protettivo, pezzuole e bacchetta mentre dalle pareti e dalle volte discinte fanciulle, virtuosi cavalieri e rubicondi paggetti sembravano disapprovare, con quell' aria imbronciata, il nostro rumore di ferraglia e quei maleodoranti prodotti oleosi in un luogo così aulico.
Dopo sei giorni di attività così detta di inquadramento possiamo avere la sospirata " libera uscita". Non prima di aver superato l' ispezione dell' uniforme,il controllo della persona e la prova del saluto. A proposito del saluto, ho rischiato di essere rimandato indietro dall' ufficiale di picchetto tenente di cavalleria Alberico lo Faso:" Uhm... Ferrando il suo saluto non mi piace" ma, osservata la mia espressione di sconforto, ci ripensa e :" Vada, questa volta vada". Questo è stato il mio incontro con l' altro ufficiale della terza compagnia, comandante del terzo plotone. Distinto, serio, posato, era stimato da tutti i suoi allievi. Così lo ricorda Gianni Sardella:"Attento, comprensivo e saggio in tutte le occasioni. Di se stesso non parla mai, di noi sempre bene, pronto a difenderci e ad aiutarci ".
Sassuolo ci appare bella, viva, accogliente come sanno esserlo le città emiliane. In gruppi sciamiamo per le vie e i portici della grande piazza. Si comprano giornali, cartoline e francobolli, si fa la coda ai telefoni, si va al cinema. Il mio gruppo entra in un caffé e giù pasticcini, brioches e panini. "Ma se abbiamo appena cenato!". "Vuoi mettere queste delizie qui con quello che ci hanno dato in caserma?", esclama Pagnini addentando una pasta e mandando giù una sorsata di cioccolata calda.
Quando rientriamo sono soltanto le nove e mezzo di sera, ma quella era l'ora della ritirata, dopo appena tre ore di libera uscita.
Mancando una settimana al nostro ingresso a Modena, viene intensificato l' addestramento formale. E allora avanti e indietro per il cortile e i viali adiacenti, ogni plotone con il suo comandante. Si notano le differenze. Noi del secondo marciamo con il fiato di Leonardi sul collo:" Pugno in fuori, pugno in dentro, baionetta alta, baionetta bassa, dietro front... Cavallavo vada al passo...Palancaaa...alt! Mini, non faccia lo spiritoso!". Quelli del terzo, meno assillati, vanno spediti e tranquilli, niente strilli, richiami misurati, di quando in quando un rimprovero e tutto finisce lì. Il primo, invece:" Juppi...juppi... voi siete il primo plotone e dovete essere sempre il primo, diventerete tutti bersaglieri...allora forza...juppi...juppi". Poveretti, hanno sempre fatto più degli altri conseguendo lo stesso risultato,se non inferiore.
Alla prova finale di sfilamento interviene il pacioso ten. colonnello degli alpini Gian Fabio Polzot, comandante del primo battaglione allievi,che ci sprona con queste parole:" Giovani, siete andati bene ma domani dovete essere ancora più bravi, domani dovete marciare sciolti come delle ballerine" (sic).
L' indomani qualcuno di noi prende troppo sul serio l' esortazione di Polzot, talchè volendo accentuare a modo proprio l' andatura della marcia, si trova presto fuori passo, facendolo perdere anche agli altri.
E così una domenica di metà novembre, di buon mattino, sfiliamo in Modena da Largo Garibaldi per la via Emilia e via Farini. C' è poca gente a guardarci. Ma nel cortile d' onore dell' Accademia ci attende tutto il secondo battaglione in armi( 320 allievi "anziani").
Siamo a Palazzo, ci attendono altre prove impegnative, soprattutto di studio, alla conclusione del tirocinio a cui mancano ancora quaranta giorni. E ci attendono gli anziani con le loro benevole(?) attenzioni.
Un caro saluto,
Pier Gianni Ferrando